La riunione si tenne in una sala austera del Palazzo Apostolico, dominata da un grande crocifisso d’avorio che sembrava osservare la scena con una pazienza infinita. L’atmosfera era priva di qualsiasi afflato spirituale. Era un consiglio di guerra camuffato da consultazione pastorale. Monsignor Terzi, un anziano e navigato diplomatico della Nunziatura in Italia, descriveva con malcelata ammirazione il “metodo di lavoro ripristinato” in Vaticano. Sotto Leone XIV, spiegava, la macchina era tornata a funzionare all’unisono.
“Il Santo Padre non conosce i meandri della politica italiana come il suo predecessore”, affermò Terzi, lisciandosi la talare. “Ma a differenza di Francesco, si fa consigliare. E questo ci permette di negoziare, non di procedere per strappi “.
Valerio ascoltava in silenzio, sentendo un freddo dentro. Le parole di Terzi disegnavano una mappa strategica di rara efficienza. Si parlava della premier Meloni e della sua indicazione alla maggioranza di “provare a fare una legge”. Si analizzava la sentenza 242 della Consulta del 2019 non come l’espressione di un’esigenza della società, ma come il “fatto” da cui muovere per sterilizzarne gli effetti più dirompenti. L’obiettivo era evitare a tutti i costi il “modello belga” e arginare la frammentazione normativa creata dalle leggi regionali. Era un’operazione di contenimento politico, non di accompagnamento umano.
L’ombra del DDL Zan aleggiava ancora su quelle mura. Bastò che Terzi menzionasse la necessità di agire “nel pieno rispetto dei patti” per far riaffiorare in Valerio il ricordo nitido di quel giugno del 2021. Ricordava il brivido lungo la schiena nel leggere la bozza della “Nota Verbale” , quell’atto diplomatico senza precedenti che invocava il Concordato per contestare una legge del Parlamento italiano. Ricordava la difesa d’ufficio del Cardinale Segretario di Stato, che parlava di “problemi interpretativi” e “contenuti vaghi” , e la risposta gelida del Presidente del Consiglio sulla laicità dello Stato. La Chiesa non aveva bloccato la legge direttamente, no. Ma aveva elevato lo scontro, fornendo una copertura morale e politica a chi si opponeva , trasformando una battaglia per i diritti civili in un caso diplomatico.
Ora la strategia era diversa, più sottile. Avevano imparato la lezione. Non uno scontro frontale, ma un accerchiamento. L’obiettivo, come spiegava Terzi, era arrivare a una “legge di compromesso” , una norma “moderata” da concordare con una maggioranza non ostile , per non ritrovarsi con l’eutanasia legalizzata da equilibri parlamentari futuri. Era la stessa logica, pensò Valerio con un’improvvisa fitta di disgusto, con cui l’istituzione difendeva i suoi privilegi fiscali o il meccanismo dell’Otto per mille: una forma di potere strutturale, continuo e pervasivo, mascherato da bene per il Paese. Si trattava di governare, non di servire. E lui, con il suo dossier impeccabile, aveva fornito le munizioni più raffinate.
