Oggi, 2 novembre, l’Italia si ferma a ricordare Pier Paolo Pasolini. Ma “ricordare” è un verbo pigro, spesso innocuo. Si ricordano i poeti morti come si ricordano le statue: con ammirazione, certo, ma da una distanza di sicurezza.
Con Pasolini, questa distanza non è concessa. La sua non è una memoria, è un’interferenza.
Il suo corpo fu martoriato all’Idroscalo di Ostia, ma il vero scandalo del suo pensiero è un altro, ed è più vivo che mai. Non fu la sua omosessualità, né la sua critica al potere democristiano. Il vero scandalo, la sua vera eresia, fu l’aver visto prima e meglio di tutti la natura del mostro che ci stava seducendo.
Mentre l’Italia sognava il “boom” e la modernità, Pasolini vedeva un incubo. E non usava mezzi termini per descriverlo.
Il Fascismo che ha vinto
Il punto centrale, quello che ancora oggi ci rifiutiamo di accettare, è la sua spietata analisi del consumismo. Per Pasolini, il “benessere” non era una liberazione, ma una nuova, e ben più totalitaria, forma di prigione.
Nei suoi Scritti corsari, lancia un’accusa che gela il sangue:
Il potere della civiltà dei consumi riesce perfettamente a ottenere un’omologazione e un’acculturazione che il fascismo non era riuscito a ottenere. Questo potere sta distruggendo le varie realtà particolari e togliendo realtà ai vari modi di essere. Il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l’Italia.
Scritti corsari
Rileggiamolo con calma. Il vero fascismo.
Pasolini non faceva un paragone superficiale. Il suo ragionamento era chirurgico. Il fascismo storico, con la sua violenza e la sua retorica, aveva cercato di omologare l’Italia, ma aveva fallito. Sotto la camicia nera, il contadino restava contadino, l’operaio restava operaio, con i loro dialetti, le loro culture “particolari”, i loro mondi.
Il nuovo potere, la civiltà dei consumi, riusciva invece dove Mussolini aveva perso. Non aveva bisogno di manganelli, perché usava un’arma molto più potente: la seduzione.
Attraverso la televisione e la pubblicità, il consumismo non imponeva un’idea: imponeva un desiderio. Un desiderio unico, standardizzato, borghese.
L’educazione al desiderio
Qui si innesta la sua seconda, terribile intuizione. Questo nuovo potere non reprime, ma “educa”. Ci addestra tutti, fin da piccoli, a volere le stesse cose. Ed è un’educazione da cui nessuno è escluso.
È l’analisi che Pasolini affida a un altro passo celebre dei suoi Scritti:
Il potere è un sistema di educazione che ci divide in educati e ineducati. Tutta l’Italia è diventata educata in questo senso: a volere il benessere, a volere il consumo. Ed è per questo che io considero l’epoca in cui viviamo l’epoca più reazionaria che ci sia mai stata: perché non c’è più differenza tra gli educati e gli ineducati, tra i borghesi e i proletari. Sono tutti educati allo stesso modo, a desiderare le stesse cose.
Scritti corsari
Questo è il cuore della tragedia pasoliniana. La diversità, per lui, era una ricchezza. La cultura proletaria, con i suoi valori, la sua lingua, la sua “alterità”, era un baluardo contro l’omologazione.
Ma cosa succede quando il figlio dell’operaio non desidera più la rivoluzione, ma desidera gli stessi jeans firmati, la stessa auto e le stesse vacanze del figlio del suo datore di lavoro?
Succede che la lotta di classe finisce. Non perché l’operaio ha vinto, ma perché ha perso la sua identità. Ha smesso di essere “altro” ed è diventato una copia sbiadita del modello borghese.
Per Pasolini, questa è l’epoca “più reazionaria” di sempre. Un’epoca senza vera opposizione, perché l’unica cosa che conta non è essere, ma avere. Non c’è più un modello culturale alternativo; c’è solo il Modello Unico del Consumo.
Lo specchio rotto
Ricordare Pasolini, oggi, non significa guardare al passato. Significa avere il coraggio di guardarci allo specchio.
La sua profezia si è avverata in modi che forse nemmeno lui avrebbe immaginato. L’omologazione non è più solo italiana, è globale. L’algoritmo di un social network è forse lo strumento di “acculturazione” più potente mai inventato, capace di plasmare i desideri di miliardi di persone in tempo reale.
Siamo tutti “educati” a volere le stesse vite, a scattare le stesse foto, a usare le stesse parole. Le “realtà particolari” che lui vedeva distruggere sono ormai reperti archeologici.
Per questo Pasolini è magnetico e insopportabile. Perché ci costringe a vedere il vuoto dietro le luci scintillanti del benessere. Il suo pensiero non è una reliquia, è una ferita aperta. E celebrarlo davvero significa solo una cosa: trovare il coraggio di tenerla aperta, e continuare a farci le domande sbagliate.
