Una voce da Gaza
«Non c’è più cibo. Si muore per strada. Persone in fuga a piedi, trascinano ciò che resta della loro vita». Le immagini che giungono da Gaza — marce verso la costa, famiglie accalcate in “zone umanitarie” che assomigliano a gabbie — sono ferite che interrogano chiunque si professi cristiano. Qui non è in discussione la geopolitica soltanto: è la domanda evangelica più radicale. “Chi è il mio prossimo?”.
Il “diritto biblico” armato
Eppure, mentre i corpi si consumano nella fame, esiste un cristianesimo che guarda altrove. È quello che, soprattutto negli Stati Uniti, sostiene Israele con motivazioni non solo politiche ma teologiche. Organizzazioni come la Christians United for Israel o l’International Christian Embassy Jerusalem lavorano perché la Cisgiordania resti “Giudea e Samaria”, citando un presunto diritto biblico eterno. Deputati e leader religiosi statunitensi parlano apertamente di “mandato divino”. Ma dietro questa solidarietà vi è una contraddizione: un amore che sembra più rivolto a una mappa che a un volto, a una profezia che a un bambino ferito.
Escatologia e conversione forzata
Questo cristianesimo “dispensazionalista” non si limita a sostenere Israele per motivi politici. Attende, teologicamente, la conversione degli ebrei al Cristo, considerandola condizione dell’Apocalisse. È un paradosso crudele: proclamare amicizia, ma in realtà pensare a un futuro in cui l’altro deve scomparire nella propria fede. Non è questo lo scandalo più profondo del Vangelo? Gesù ha scelto come parabola fondativa non il sacerdote né il levita, ma il Samaritano: lo straniero, l’eretico, colui che non apparteneva. Il prossimo è chi si ferma, non chi progetta un futuro di cancellazione.
Beatitudini e zone umanitarie
Il contrasto appare insostenibile: da una parte le beatitudini — “Beati i miti, beati gli operatori di pace” — dall’altra la lingua politica che parla di “zone sicure” mentre non si garantisce pane e acqua. Non basta invocare il nome di Dio per giustificare muri e carestie. Se il cristianesimo diventa strumento per sostenere un potere che uccide o umilia, tradisce se stesso. E non è solo questione mediorientale: quante altre volte, nella storia, croci e benedizioni hanno accompagnato guerre, invasioni, schiavitù? È un rischio permanente.
Il diritto internazionale come controcanto
Qui non si tratta di scegliere partiti politici, ma di riconoscere che esiste una legge delle nazioni, costruita sulle rovine di Auschwitz e Hiroshima, che proibisce annessioni, colonie, fame indotta. Il diritto internazionale non è un’opzione ma il minimo comune denominatore di convivenza umana. Quando un “diritto biblico” viene opposto al diritto umano universale, la contraddizione diventa insopportabile.
Non antisemitismo, non islamofobia
Criticare questo uso distorto della fede non significa negare la legittimità dello Stato di Israele né ignorare la violenza di Hamas. Né significa indulgere a discorsi antisemiti o islamofobi. Al contrario: l’unico antidoto al veleno è ricordare che ogni uomo e ogni donna — ebreo, musulmano, cristiano, ateo — è creato a immagine di Dio. Questa è la prima pietra non negoziabile.
Il rischio per ogni cristianesimo
Non si tratta, in fondo, di accusare solo l’America evangelica o la destra israeliana. Ogni cristianesimo può cadere nella tentazione di piegare il Vangelo a interessi politici, nazionalisti, economici. Quando benediciamo carri armati o decreti ingiusti, quando dimentichiamo i poveri per difendere recinti, siamo nello stesso schema. E questo riguarda anche noi, qui, oggi.
La domanda
La domanda resta quella del Vangelo: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo?”. Non sarà la geografia a salvarci, né la teologia dei confini. Sarà solo la capacità di chinarsi su chi è a terra. La Domenica è fatta per ricordarcelo.
Se questo articolo ti ha fatto riflettere, condividilo e lascia un commento. La fede non si misura con i confini, ma con le ferite che sappiamo fasciare.
Questo testo fa parte della rubrica Domenicale di tommasoautore.it, uno spazio di riflessione tra memoria e attualità, alla luce del Vangelo.
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