Il 15 ottobre 2025, Suor Monia Alfieri ha diffuso un comunicato che merita una riflessione approfondita, non per spirito polemico, ma perché tocca il cuore stesso del rapporto tra coscienza e autorità, tra cittadinanza e obbedienza. La religiosa, commentando l’accordo di pace in Medio Oriente e la morte di tre Carabinieri, formula un appello che tradisce una concezione preoccupante della partecipazione democratica.
“Mi auguro che i giovani mettano le loro competenze e le loro capacità a servizio del bene comune, anche solamente attraverso il sostegno alle scelte che la politica interna ed estera saprà individuare come le più adeguate”. Queste parole, apparentemente innocue, nascondono un’insidia profonda: l’idea che il “bene comune” coincida automaticamente con “le scelte della politica”, qualunque esse siano.
Ma è soprattutto quando Suor Monia afferma che “manifestare contro qualcuno o contro qualcosa non è onesto, mi permetto anche di dire che è troppo facile”, che il suo pensiero rivela tutta la sua problematicità. Qui riecheggia, involontaria o meno, quella retorica dell’obbedienza che Don Lorenzo Milani smascherò definitivamente nel suo “L’obbedienza non è più una virtù”.

Don Milani scriveva ai cappellani militari che avevano definito “vile” l’obiezione di coscienza, ricordando loro che “l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni”. Il priore di Barbiana aveva compreso che quando l’obbedienza diventa rinuncia al pensiero critico, abdica alla responsabilità personale, tradisce sia il Vangelo che la dignità umana.
Il paradosso del dissenso “disonesto”
Definire “disonesto” il manifestare contro qualcosa è un’affermazione grave che merita di essere sviscerata. Suor Monia dimentica che la storia della Chiesa è costellata di figure che hanno “manifestato contro”: dai martiri cristiani che rifiutarono di adorare l’imperatore, a Thomas More che disse no a Enrico VIII, da Oscar Romero che denunciò le violenze in El Salvador, fino a Don Pino Puglisi che si oppose alla mafia. Erano tutti “disonesti”?
Il Vangelo stesso ci presenta un Gesù che manifesta contro l’ipocrisia dei farisei, contro i mercanti nel tempio, contro l’oppressione dei poveri. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti!” (Mt 23) non è forse una manifestazione contro qualcuno? E quando dice “Non sono venuto a portare pace, ma spada” (Mt 10,34), non sta forse riconoscendo che la fedeltà alla verità può richiedere conflitto e opposizione?
La pace e le esecuzioni di Hamas
Il testo di Suor Monia menziona giustamente le esecuzioni perpetrate da Hamas contro presunti collaborazionisti. Ma proprio questa terribile realtà dovrebbe insegnarci quanto sia pericoloso il principio dell’obbedienza acritica all’autorità. Quegli uomini sono stati uccisi precisamente perché qualcuno ha deciso che non avevano “sostenuto le scelte” del potere dominante a Gaza.
Quando Suor Monia invita i giovani a sostenere “le scelte che la politica saprà individuare”, non considera che sono proprio i giovani che manifestano nelle piazze – quei giovani che lei definisce implicitamente “disonesti” – a chiedere che si fermi la vendita di armi, che si rispetti il diritto internazionale, che si proteggano i civili. La loro non è opposizione sterile: è l’esercizio di quella vigilanza democratica senza la quale ogni accordo di pace rimane lettera morta.
Il rispetto delle forze dell’ordine e la critica democratica
Sulla questione delle forze dell’ordine, Suor Monia confonde pericolosamente il doveroso rispetto per chi serve lo Stato con l’impossibilità di ogni critica. Certo, la morte dei tre Carabinieri è una tragedia che ci addolora tutti. Ma trasformare questo dolore in un’immunità dalla critica per l’intero apparato di sicurezza è precisamente quel cortocircuito logico che Don Milani denunciava.
La democrazia si fonda sul controllo reciproco dei poteri, sulla trasparenza, sulla possibilità di denunciare abusi e storture. Quando Suor Monia parla di “campagna di forte discredito” che “non è assolutamente ammissibile”, sta di fatto chiedendo un’accettazione acritica dell’operato delle forze dell’ordine. Ma chi vigilerà sui vigilanti, se la critica diventa “delegittimazione”?
La Costituzione tradita
La Costituzione italiana, che Suor Monia invoca quando parla di “ordinamento repubblicano”, garantisce agli articoli 17 e 21 il diritto di riunirsi pacificamente e di manifestare liberamente il proprio pensiero. Questi diritti non sono concessioni benevole del potere, ma conquiste pagate col sangue di chi – durante il fascismo e la Resistenza – comprese che l’obbedienza può diventare complicità.
L’articolo 11 proclama che “l’Italia ripudia la guerra”. Come può questo ripudio conciliarsi con l’invito a sostenere acriticamente “le scelte di politica estera”, quando queste includono l’invio di armi in zone di conflitto?
L’eredità di Don Milani

Don Milani insegnava ai suoi ragazzi di Barbiana: “Bisogna che il ragazzo impari che la legge è uguale per tutti, ma bisogna anche che impari che quando la legge non è uguale per tutti, allora bisogna cambiare la legge”. E ancora: “Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni”.
I giovani che Suor Monia vorrebbe docili sostenitori delle scelte altrui sono gli stessi che studiano, si informano, dibattono, e sì, manifestano. Non per pigrizia o disonestà, ma perché hanno compreso che la democrazia non è delega in bianco al potere, ma partecipazione attiva, critica quando necessario, opposizione quando la coscienza lo impone.
Una Chiesa profetica o complice?
La Chiesa ha sempre oscillato tra due poli: quello profetico, che denuncia le ingiustizie e sta dalla parte degli ultimi, e quello del potere, che benedice gli eserciti e legittima i potenti. Papa Francesco ci ricordava continuamente quale delle due strade sia quella evangelica quando denunciava l’economia che uccide, quando criticava i mercanti di armi, quando si schierava con i migranti contro i muri.
Suor Monia sembra aver scelto l’altra strada, quella di una Chiesa che invita all’ordine, alla sottomissione, al silenzio. Ma questa non è la Chiesa del Concilio Vaticano II, che nella Gaudium et Spes riconosce il diritto e talvolta il dovere di critica verso l’autorità civile.
Conclusione: il coraggio della responsabilità
Il comunicato di Suor Monia, nella sua apparente ragionevolezza, nasconde un veleno sottile: l’idea che la pace si costruisca con l’obbedienza, che l’ordine valga più della giustizia, che il dissenso sia disonestà. Ma come ci ricordava Don Milani: “Quando si sente dire che con l’obbedienza si va sempre bene, bisogna ricordarsi di Adolf Eichmann”.
I giovani non hanno bisogno di inviti alla sottomissione, ma di maestri che insegnino loro il coraggio della responsabilità personale, l’arte difficile del discernimento, la nobiltà del dire no quando la coscienza lo impone. Questa è l’eredità più preziosa del cristianesimo e della democrazia: non sudditi obbedienti, ma cittadini e cristiani adulti, capaci di manifestare contro l’ingiustizia anche quando questo viene definito “disonesto” da chi ha scelto la comoda via del conformismo.
L’obbedienza non è più una virtù. Non lo è mai stata quando in gioco c’erano la dignità umana, la pace vera, la giustizia. I giovani che manifestano per la pace in Medio Oriente, che chiedono di fermare il commercio delle armi, che denunciano le vittime civili, non sono disonesti. Sono la coscienza critica di una società che rischia di addormentarsi nell’indifferenza. Sono, in fondo, i veri eredi di quel Vangelo che Suor Monia sembra aver dimenticato.
